Palma e Cassie sono due personagge i cui corpi non rientrano nella stretta casella che è ancora l’unico, ridotto, spazio a disposizione delle ragazze. Questa non è l’unica cosa che hanno in comune: entrambe hanno rapporti complicati e conflittuali con le loro madri, entrambe hanno a che fare con uomini che non le rispettano e, soprattutto, entrambe navigano delle grandi solitudini. Geograficamente parlando, sono piuttosto lontane: Cassie vive in una immaginaria porzione di un’America surreale ed è la protagonista di Il libro di X, di Sarah Rose Etter; Palma abita la concretezza sfacciata di Roma e provincia, fra le pagine di Chilografia, di Domitilla Pirro.
Ho letto Chilografia con la stessa attitudine famelica e voluttuosa con cui Palma, la protagonista, si dedica ai prodotti del forno L’Oasi del pane:
Comprò millecinquecento lire di bianca prosciutto cotto e mozzarella, due quadrotti più spessi che lunghi col bordo lucido, la parte dentro che ci godi a strapparla con gli incisivi ed è un piccolo lutto quando arriva sotto i molari, perché sta per finire, l’hai quasi ingoiata, c’è ancora un brandello, ecco no adesso l’hai ingoiata sul serio, è persa, serve un altro boccone, speriamo che duri di più.
Per molto tempo dopo averlo finito mi sono sentita nauseata, esausta, proprio come dopo un’abbuffata. L’ho letto nel giro di poche ore, senza quasi staccarmi dalle pagine. Mi ha presa come in un vortice sballottandomi da una parte all’altra, e io, che sulle montagne russe assolutamente non ci voglio salire, mi sentivo quasi come se stessi leggendo mio malgrado. Il mio approccio a questo testo è stato completamente emotivo, immediato e diretto, e quello che segue è quindi uno sforzo di razionalizzare la mia esperienza di lettura, a qualche mese di distanza.
A dispetto del sottotitolo (“Diario vorace di Palla”), questo romanzo non ha la forma di un diario: seguiamo Palma da vicino, è vero, dai 0.003 chili fino ai 147, ma non sentiamo mai la sua voce, non accediamo davvero ai suoi pensieri. Le siamo vicini, ma non dentro. La sua storia sembra quella di tante: con una famiglia scassata (ma non più di altre) e un rapporto complicato col cibo (ma non peggio di altre), Palma si sente un pesce fuor d’acqua e impariamo a conoscere, per dirla con le sue parole,
la sua evidente incapacità di stare nel mondo – pressata con la tempia al finestrino del bus, lo zaino per terra, la speranza che nessuno le rivolgesse la parola, lo stomaco gonfio e pieno e anche vuoto, ancora.
Vediamo Palma crescere, leggere Ursula K. Le Guin e i Miti Junior Lire 5900, boccheggiare durante un’uscita con il gruppo scout, prendere qualche brutto voto a scuola, poi andare all’università, innamorarsi di Giulio che le spezza il cuore durante la festa degli PsicoFracichi Laureandi Sessione Marzo 2003, lavorare nella profumeria della madre dove le clienti la chiamano “chicchetta bella”. Soprattutto, la vediamo appassionarsi a The Sims, creare Kate Game e il suo corpo snello (“non aveva trovato in sé la crudeltà necessaria […] per infliggerle fianchi e rotoli di ciccia. Le bambine grasse faticano un sacco a fare Dio.”), passare nottate intere al computer. È su internet che Palma incontra Tato76, cioè Angelo, che le fa conoscere il forum dei Fat Admirers. Lui feticizza il suo corpo e il suo peso, ma questa è la prima volta, per Palma, che qualcuno la faccia sentire vista, coccolata. Il primo scatto d’ira del ragazzo però arriva presto, durante una delle prime conversazioni notturne in chat:
Per capire che si trattava di una scenata e stipulare il loro primo trattato di pace ci volle tutta la notte. Per ingoiare il cagna in calore e sentirsi lusingata dall’accaduto, Palma impiegò altri quindici minuti – tra le cinque e le cinque e un quarto del mattino. Per coglierne appieno la portata non bastarono i tre anni successivi.
Palma impara presto a dire sempre di sì ad Angelo, e non le viene così difficile perché nel loro rapporto trova qualcosa, qualcosa di diverso dalla desolazione di casa sua, “un posto e un’appartenenza nuove, più forti di qualunque altra cosa avesse mai sentito; e poi non c’era nient’altro da fare”. Nel dire “solo sì sempre sì”, Palma non ha nemmeno il tempo di pensare a quello che lei desidera, quello che lei vorrebbe chiedere. Quella che sembrava una via di fuga dallo spazio inospitale di casa propria si rivela immediatamente un meccanismo di controllo sempre più violento.
le diceva Accendilo ‘sto cervello, che mica te serve pe’ spartì le ‘recchie; la copriva di baci a schiocco, una pioggia di baci fitti e minuti. Un diluvio d’amore, una grandine, pensava Palma.
Relegata nel loro appartamento, drasticamente ed irrimediabilmente sola, passa le giornate aspettando che Angelo rientri dal lavoro, col suo “modo di girare le chiavi che a Palma feriva le orecchie”: sbaglia tutto, lascia la birra in freezer troppo a lungo, a volte non ha fame e lui la costringe a mangiare, una volta le si scarica il telefono mentre è fuori e lui la picchia al suo ritorno. Il libro prende una piega sempre più dura, per culminare in un finale assurdo, potentissimo, onirico e feroce, che non mi ha fatto dormire la notte e che non mi dimenticherò.
Non voglio rivelarne i dettagli perché mi ha fatto sobbalzare e ansimare: normalmente non mi importa molto delle anticipazioni sulle trame di quello che leggo, ma in questo caso sono stata felice di non saperne nulla e di poter essere sorpresa dalla creatività di Pirro, che costruisce magistralmente un senso di inquietudine crescente. Capitolo dopo capitolo, Palla prende peso, e anche la tensione si gonfia fino ad esplodere, “gradualmente prima, e improvvisamente poi”, per citare Hemingway in Fiesta.
La protagonista di Il libro di X, di Sarah Rose Etter, Cassie, è nata con il torace annodato, esattamente come sua mamma e sua nonna prima di lei. Mi sono immaginata il suo busto proprio come un nastro, ripiegato su se stesso e contorto all’altezza del ventre. Cassie vive in campagna assieme alla sua famiglia, dove il padre e il fratello lavorano alla loro cava di carne. A metà fra una miniera e una fattoria, la loro terra è infatti percorsa da delle “vene”, difficili da localizzare, da cui poi viene estratta la carne. Nonostante queste premesse assolutamente surreali, Cassie è simile a tante altre ragazze, detesta il suo corpo, guarda da lontano Jarred che la ignora, e osserva la sua compagna di classe Sophia:
Guardo Sophia muoversi e vorrei farlo come lei. Alcuni giorni, Sophia nota che la fisso e mi saluta con un gesto. A volte, sollevo la mia mano floscia e ricambio il saluto. Non so se il mio saluto dice la verità, che sarebbe: Voglio muovermi come fai tu. Voglio aprirti con un coltello. Voglio nascondere il mio corpo dentro il tuo.
Dopo aver ottenuto dal padre il permesso di lavorare alla cava di carne con lui, Cassie scopre di essere portata: ha ereditato il talento paterno nello scovare le vene più sanguinolente, “sentendone” la presenza col suo corpo, e ha tutta la forza necessaria ad estrarne brandelli pronti a essere venduti. Scopre anche che Jarred sembra ricambiare il suo interesse, ma presto si renderà conto che ad attrarlo è una combinazione di fascinazione e repulsione per il suo nodo: in una scena che ha fatto risuonare in me le stesse corde della descrizione che Pirro fa dell’intimità fra Palma e Angelo, Jarred tocca il nodo, ignorando Cassie che si lamenta del dolore, e poi la guarda disgustato: “Mostriciattolo di merda”. Come Palma, anche Cassie desidera un uomo che sembra odiarsi per il solo fatto di desiderarla. La seconda volta Jarred non si limiterà a toccare il nodo senza il suo consenso, ma la stuprerà nella cava di carne, in una scena brutale in cui l’odore del sangue sembra andare dalle narici di Cassie alle nostre. Da quel momento in poi la protagonista perde ogni interesse nei confronti della tenuta della sua famiglia: prende in affitto un appartamento in città, si trova un lavoro alienante come dattilografa, esce con alcuni uomini senza che nessuno resti con lei a lungo. Intanto il nodo si fa sempre più doloroso e Cassie decide di sottoporsi ad un intervento da parte di un medico che sostiene di poterla “slegare”.
Su iniziativa della madre aveva già tentato, da ragazzina, di sciogliere il nodo tramite una dolorosa procedura che si era rivelata fallimentare. E ancora una volta Cassie e Palla si incontrano, dalla stessa parte della barricata nella lotta senza quartiere alla propria stessa carne.
La perdita di peso di Palma, verso la fine del liceo, non le garantirà accesso all’amore e alla tenerezza che desidera, e si ritroverà di nuovo sola, e affamata. Similmente, dopo l’intervento e la lunga, dolorosa convalescenza, nella vita di Cassie non cambia assolutamente nulla.
Attendo la mia nuova gioia. Provo a percepire la mia nuova felicità come la carne nel terreno: schiaccio la pancia contro il letto e attendo che la felicità scorra per le mie vene come un sottile filo d’oro.
Se dal punto di vista della struttura e della narrazione Chilografia è una vera e propria escalation, la storia di Cassie invece è fortemente anticlimatica: cambierà casa, si innamorerà di Henry (che però è sposato con un’altra donna), vivrà un lutto doloroso, ma la sua solitudine non porterà a nulla. Non esplode sregolata come quella di Palma, non trova pace in un lieto fine da manuale. Come da titolo di questa recensione, Il libro di X è un romanzo di formazione senza formazione.
Come in un gioco di specchi, da un lato nel romanzo di Etter l’assurdo, il surreale e il simbolico sono presenti fin dall’inizio, ed è invece il finale ad avere i tratti di una desolante normalità; dall’altro Pirro ci mostra una vicenda che ha i piedi ben piantati nella realtà, per poi scoppiare in un finale visionario e tranciare la narrazione di netto.
Entrambe le autrici scelgono di sperimentare anche con la forma. Domitilla Pirro mischia l’italiano a una serie di dialetti laziali: anche l’ortografia sulla pagina rende bene l’asprezza in cui Palma impara a parlare, a descriversi, a rapportarsi agli altri. Oltre a questa, ci sono altre scelte stilistiche interessanti: pezzi della chat fra Palma e Angelo, per esempio, o il linguaggio tecnico dei brani in cui Palma modifica le impostazioni di The Sims grazie all’aiuto dei forum di gamers. La lingua di Pirro è efficacissima: ogni frase è un colpetto sordo, qualcuna è proprio una botta forte, una “manata”. Mi hanno colpito molto la precisione, le frasi corte, i capitoli di poche pagine, come se non ci fosse bisogno di molto contorno per raccontare questa storia. Consiglio questo articolo, in cui Federica Guglietta analizza con cura le scelte linguistiche di Pirro nei suoi due romanzi.
Nel romanzo di Etter invece la sperimentazione è più nella struttura che nella lingua. Il racconto in prima persona della storia di Cassie è alternato a pagine intitolate “Visione”: non ci viene mai spiegato se si tratti di sogni o di fantasie, ma si capisce che è un qualche tipo di tuffo nell’inconscio e nell’immaginazione della protagonista. Alcune sono delle vere e proprie utopie di normalità e di interruzione della solitudine, ad esempio quella in cui Cassie si proietta a cena con Henry, che nella fantasia è suo marito; altre invece sono completamente surreali, come quella in cui va in un “Negozio di Uomini” ma siccome non ha abbastanza soldi per comprarne uno può permettersi solo una metà superiore.
Un’altra interruzione della narrazione è data dalle liste di fatti, sotto forma di elenchi puntati, che inframezzano la vicenda e che, come spiegato nelle note finali dell’autrice, sono tutti veri. Per esempio quando Cassie si innamora di Henry veniamo a sapere che:
- L’amore può scattare in un quinto di secondo
- Innamorarsi produce diverse sostanze chimiche che inducono l’euforia, stimolando 12 aree del cervello allo stesso tempo
- Un sintomo dell’ipopituitarismo, un disturbo raro, è l’incapacità di provare il rapimento amoroso
- Guardando un nuovo amore, vengono soppressi i circuiti neuronali tipicamente associati al giudizio sociale
La chirurgica precisione dei “fatti” e l’assurdità dirompente delle “visioni” sono i due perni attorno al quale la mente di Cassie ruota senza sosta, e con lei il romanzo. Tanto statica è la sua vita, silenziosa e solitaria, così frenetica è la sua mente, ricchissima, strabordante.
La mente di Palma, invece, sembra quieta e placida, sia a chi la circonda e la guarda con cattiveria, rifiutandosi di ricercare una connessione con la sua interiorità (Angelo le dà della tonta tante e tante volte) sia a noi lettori, che non riusciamo mai a capire davvero cosa stia pensando, come se il “Diario vorace” fosse censurato, o velato. Naturalmente la stasi è solo apparente, perché dentro Palma ribolle e freme, come la sua sorella oltreoceano.
Sono due romanzi potentissimi, disturbanti, respingenti e travolgenti insieme, che mi hanno prima disarmata, poi commossa, infine intenerita. Dopo averli finiti, ho continuato a pensare alle protagoniste: mi sono immaginata Cassie vivere giorni sempre uguali nella sua casetta in campagna, come se l’ultimo capitolo si dovesse ripetere in loop; Palma invece non so proprio dove sia. Di entrambe, spero che siano felici.