Nuovi mo(n)di di fare famiglia

Nel “Libro di Thel”, contenuto all’interno dei Libri profetici di William Blake, ci sono due versi che suonano così: “Tutto ciò che vive / non vive solo, non vive per se stesso”. Nel poema, la vergine Thel, scoraggiata da una vita che le sembra inutile e priva di prospettive, si lascia accompagnare nel suo viaggio dagli elementi della natura, personificati attraverso l’uso della lettera maiuscola – il Verme, la Zolla d’Argilla, il Giglio della Valle, la piccola Nuvola. Attraverserà la valle, fino alle porte dell’inferno, per scoprire che tutto ha uno scopo e ogni vita, organica o meno, concorre a un tutto più grande, e che anche lei, convinta della propria inutilità, sarà invece un dono alla terra, prezioso cibo per vermi.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, della scrittrice premio Nobel Olga Tokarczuk, è un romanzo ricco di echi e influenze blakiane, a partire dal titolo. “Guida il tuo carro e il tuo aratro sulle ossa dei morti” è infatti il secondo dei Proverbi dall’inferno contenuti all’interno del libro “Il matrimonio del cielo e dell’inferno”. Attraverso questi proverbi Blake ricostruisce una sorta di guida per un visitatore che voglia muoversi nell’inferno attraverso i detti popolari di chi all’inferno vive, lavora e gode. Molti di questi proverbi ruotano infatti intorno al tema del desiderio, come il quinto che recita: “Colui che desidera ma non agisce nutre la pestilenza”. Moltissimi altri sono dedicati invece al mondo degli animali, universo che da Blake non sembra essere visto come inferiore o sottomesso al mondo degli umani, ma parallelo e attiguo, fortemente interconnesso, non dipendente ma inter-dipendente.

Janina Duszejko, protagonista e voce narrante del romanzo di Tokarczuk, custode delle case di vacanza in un villaggio di pochi abitanti sull’Altipiano di Kłodzko, è appassionata di astrologia e della poesia di William Blake, e non va d’accordo con i suoi concittadini, che ritiene ottusi, violenti, pericolosi. La storia di Janina prenderà una svolta inaspettata dal giorno in cui il villaggio viene sconvolto da una morte imprevista: uno dei suoi vicini di casa, da lei soprannominato Piede Grande, viene ritrovato morto, strozzato da un osso di cerva.

Quando piano piano mi resi conto di ciò che era successo lì, secondo dopo secondo fui presa dal Terrore. Aveva catturato la Cerva con una tagliola, l’aveva uccisa, e il suo corpo lo aveva squartato, arrostito e mangiato. Un Essere aveva mangiato l’altro in tranquillità, di Notte, in silenzio. Nessuno aveva protestato, non era caduta nessuna saetta. E dunque il Castigo aveva raggiunto il demone, anche se nessuna mano aveva guidato la morte.

Il modo di parlare di Janina, il suo lessico, la scelta di usare le maiuscole personificanti allo stesso modo di Blake nel “Libro di Thel” per rivolgersi alla natura e non solo, sono tutti indizi di un suo modo integrato di concepire la vita e del suo concetto ampliato di famiglia e di natura. Se dunque la Cerva che indirettamente causa la morte di Piede Grande è parte di quel gruppo di “Fanciulle” affamate che d’inverno cadono preda delle esche dei cacciatori, non stupirà che “le mie Bambine” a cui Janina fa spesso riferimento durante il corso del romanzo siano le sue cagne, scomparse improvvisamente qualche tempo prima e mai più ritrovate.

“Il cibo salutare lo si prende senza rete e senza trappola” è infatti un altro dei proverbi dall’inferno, a dimostrazione della distanza sempre minore che separa il pensiero di William Blake da quello di Janina Duszejko: vegetariana, femminista, antispecista, vicina ai destini di ermaginatə perché emarginata, dalla parte delle vite non umane perché partecipanti della stessa prigione che è il corpo.

Quando ho difficoltà a trovare un posto in cui stare, immagino di avere una cerniera sulla pancia, dal collo al perineo, e di aprirla lentamente, dall’alto in basso. E poi sfilo via le braccia dalle braccia, le gambe dalle gambe, ed estraggo la testa dalla testa. Fuoriesco dal mio corpo, e lui mi scivola giù come un vestito vecchio. Sono piccolina e delicata, quasi trasparente. Ho un corpo di Medusa, bianco, lattiginoso, fosforescente. Solo questa fantasia è in grado di darmi sollievo. Oh sì, in quel momento sono libera.

Fuoriuscire dall’umano diventa dunque una delle possibili vie d’uscita per raggiungere anche momentaneamente quella dimensione in cui le differenze si appianano e i confini tra umano e non umano, vegetale e animale, organico e inorganico sfumano fino a perdere consistenza. È interessante notare come Janina accomuni questo stato di dissociazione a un sentimento di libertà profonda che si dipana in lei una volta compiuta questa separazione, come se la prigione corporale a cui fa riferimento non fosse tangibile, bensì immateriale e tutta interiore/esteriore. Fuoriuscire dall’umano dunque nel senso di uscire da quei costrutti sociali creati dall’uomo e che ora dell’uomo regolano l’esistenza. Liberarsi del discorso in cui si è inseriti per iniziare a parlare con parole nuove.

Uscire dall’umano è possibile anche attraverso una riscrittura radicale di quelle costruzioni convenzionalmente associate all’uomo-essere sociale come la famiglia, le relazioni e il bisogno di vicinanza che spinge l’individuo a circondarsi di una collettività in cui poter essere parte di un tutto. Ma chi decide i contorni di questo tutto, chi stabilisce o ha stabilito che i membri di questo tutto debbano essere ricercati tra le fila dell’umano?

La scrittrice statunitense Rachel Ingalls, nel suo romanzo breve del 1982 Mrs. Caliban, immagina un nuovo tipo di parentela postumana che non solo travalica i confini della famiglia tradizionale, ma finisce per sostituirsi all’originario rapporto marito umano/moglie umana. La relazione tra Dorothy e Fred inizia a precipitare dopo la morte improvvisa del loro unico figlio Scotty, avvenuta durante una semplice operazione di appendicite. Un giorno alla radio annunciano che una creatura, nota alla stampa come “Aquarius Monstruomo”, è fuggita da un istituto di ricerca: quando Dorothy troverà la creatura nella sua cucina la sua vita cambierà per sempre.

“Io mi chiamo Dorothy,” si presentò.
“Io mi chiamo Larry”.
“Alla radio hanno detto che ti chiami Aquarius”.
“Quello è il nome che mi hanno dato i professori quando mi hanno catturato. Ma io non ero capace di pronunciarlo. Adesso ci riesco, ma ormai mi sono abituato a sentirmi chiamare Larry”.
“E come ti chiami nella tua lingua?” chiese Dorothy.
“è troppo diverso. Noi non diamo nomi”.
“E questo non crea confusione?”
“Tutti sanno tutto. Ci riconosciamo senza problemi”.
“E parlate?”
“Anche quello è diverso”. […]
“In che senso?”
“Assomiglia più alla musica, ma non alla vostra musica. Non si salta”.

Da questo momento in poi, Dorothy e Larry impareranno a conoscersi meglio fino a intrecciare un legame che supera il livello di un’amicizia raggiungendo i connotati di una vera e propria relazione amorosa, anche a livello sessuale. La riscrittura del concetto di parentela umana da parte di Ingalls, oltre a emergere in maniera sempre più evidente più ci si avvicina alla conclusione del romanzo, si affaccia già a partire dal titolo. Operando un rovesciamento della pratica patriarcale dell’assunzione del cognome del marito, il cognome di Dorothy, che non ci viene mai detto nel corso del romanzo, diventa “Caliban”, con un riferimento diretto al Mostro/Altro per eccellenza della letteratura occidentale.

Come Calibano della Tempesta di Shakespeare, Larry ha dovuto imparare una lingua che non gli appartiene, ha dovuto subire la sottomissione in quanto unico atto possibile di sopravvivenza e resistenza. La scelta dell’autrice di attribuire a Dorothy, e non al “monstruomo” del romanzo, l’appellativo di Caliban è un atto significativo e radicale nel momento in cui i due mondi si fondono fino a perdere i connotati che li definivano precedentemente: se anche Dorothy appartiene ora nel mondo delle creature mostre, qual è il nuovo ruolo di Larry? Coerente con la sua operazione, Ingalls rifiuta il binarismo che una risposta tale richiederebbe, lasciando ai due protagonisti la possibilità di scegliere cosa sia meglio per loro, quale sia l’equilibrio a cui tendere, se mai un equilibrio è possibile.

Uno dei ruoli di Larry all’interno del romanzo viene annunciato profeticamente da un breve momento di autocoscienza iniziale in cui Dorothy si interroga sul significato e sulle possibilità dell’amore:

Dorothy appoggiava la testa al muro e le sembrava che non fosse più nemmeno viva, dato che non faceva più parte di un qualsiasi mondo in cui l’amore era ancora possibile. E si era chiesta: la religione era davvero l’unica cosa che teneva insieme le persone, convinte – a torto – che delle gran brutte cose succedano dopo la morte? No, le brutte cose succedono prima. Specialmente il divorzio.

L’implicazione che possa ancora esistere un altro amore al di fuori della religione – oltre a suonare come una provocazione – si rivela una premonizione dell’amore che Dorothy troverà al di fuori delle strutture relazionali patriarcali tradizionali grazie alla comparsa di Larry nella sua vita. Attraversando questa relazione tra creature mostre, Dorothy capirà che le possibilità si fanno infinite solo quando siamo in grado di vederle e accoglierle.

Uno dei contributi più interessanti nel panorama delle parentele postumane è il saggio Per farla finita con la famiglia di Angela Balzano, studiosa femminista che fin dall’introduzione mette in dubbio la sua appartenenza a quella categoria di “cittadina umana”, che ritiene poco o quasi per nulla accessibile per moltə di noi. Prendendo le mosse dai contributi di Haraway e Braidotti, Balzano costella il suo volume di slogan e freestyle per rileggere e sovrascrivere il concetto di famiglia, al di là del quadro idilliaco e per questo costrittivo che la tradizione occidentale capitalistica da secoli propone.

Come scrive Balzano, queste parentele postumane “non hanno il volto rassicurante e l’aura romantica dell’amicizia antropomorfizzante” ma, anzi, tutto il contrario: “sono relazioni conflittuali che non riguardano il singolo individuo umano e non-umano”. Relazioni che, soprattutto, possono anzi sanno essere mostruose perché hanno capito che la riproduzione è un privilegio e l’obbligo a riprodurre un inganno. Da qui un invito, con un “veloce freestyle”, a non generare popolazioni ma nuove parentele:

etero-cis occidentali fate meno figli
organizzatevi in mo(n)di diversi
non è solo la vostra riproduzione che conta:
generate parentele
fatela finita con la famiglia!