Encanto e lo spettacolo dell’utopia

Nel flashback che dà avvio a Encanto, il sessantesimo film di animazione della Disney, la giovane madre colombiana Alma Madrigal è costretta a fuggire dal proprio paesino assieme al marito Pedro, ai loro tre neonati e ai loro compaesani. Tuttə stanno scappando frettolosamente da una banda di violenti saccheggiatori intenta a mettere a ferro e fuoco il piccolo villaggio, ma non hanno una meta e non sanno dove trovare riparo. Durante la fuga, Pedro affronta gli inseguitori e rimane ucciso, ma in quello stesso momento da una semplice candela bianca si sprigiona la magia che crea, in una valle andina lussureggiante e ben riparata dai monti, una casa confortevole per i Madrigal e un nuovo villaggio per il resto dei profughi. 

È un momento di rinascita, un miracolo: da quel giorno, i Madrigal diventano il centro nevralgico di una piccola e laboriosa comunità, e il loro ruolo si rafforza quando i tre figli di Alma vengono toccati personalmente dalla magia. Ciascunə di loro sviluppa infatti un dono che viene rivelato al compimento del quinto compleanno, e che dovrà mettere al servizio del villaggio. Lo stesso capiterà ai loro eredi, e due generazioni dopo la famiglia Madrigal è ormai prospera, servizievole, e consapevole della propria unicità. Lo spiega bene Mirabel, nipote quindicenne di Alma e protagonista del film, nel numero musicale di apertura The family Madrigal:

Questa è la mia famiglia
Una costellazione perfetta
Così tante stelle e tutti possono brillare

In questa canzone, ispirata a Belle (da La bella e la bestia), Mirabel sta ricapitolando la composizione della sua famiglia e il dono di ciascun membro a beneficio di tre bambinə curiosə (e del pubblico). Se tuttavia Belle compare in scena come oggetto di pettegolezzo mentre cammina trasognata fra le stradine del villaggio, e la stravaganza sua e del padre viene guardata con sospetto, in questo caso è Mirabel a parlare in prima persona e a rivendicare con orgoglio ciò che distingue i Madrigal dalle altre famiglie, suscitando ammirazione e invidia. Sua madre Julieta può curare malanni e ferite somministrando semplici cibarie al malato, mentre la zia Pepa determina con il suo umore il meteo della giornata. I cugini Dolores e Camilo possono, rispettivamente, sentire ogni suono e cambiare forma a piacimento. Le sorelle maggiori di Mirabel, Luisa e Isabela, sono “una forzuta e una piena di grazia”. Tuttə insieme contribuiscono alla manutenzione del villaggio, alla sua bellezza impeccabile, e alla buona salute di chi lo abita; questa inaspettata età dell’oro, non più minacciata da agenti esterni, è la giusta ricompensa collettiva per le difficoltà affrontate in passato, ed è essenziale che ciascuno si impegni per preservarla.

Lin-Manuel Miranda, che per Encanto ha composto questa e altre sette canzoni originali, inserisce però da subito delle piccole spie dei guai a venire. La famiglia, difatti, non è perfetta come risulta dal racconto di Mirabel per almeno due motivi: alla fine del numero, sapremo che Mirabel non ha ricevuto alcun dono, ed è quindi l’unica stella della costellazione che non ha mai avuto alcuna opportunità di brillare ma anche di sapere con perfetta e ineludibile precisione che cos’è che la rende speciale. E poi c’è lo zio Bruno, misteriosamente scomparso da molti anni, che tutti fanno del proprio meglio per non ricordare: “Non si parla di Bruno!”, intervengono precipitosamente tre passanti canterinə, interrompendo Mirabel nel suo resoconto e anticipando uno dei pezzi successivi oltre che un importante tabù della famiglia.

Quello stesso giorno, si svolge la cerimonia della rivelazione del dono del piccolo Antonio, uno dei cuginetti. È la prima dopo quella di Mirabel, ed è attesa con apprensione perché dovrà confermare o smentire un sinistro presagio: la vena magica si è esaurita e quindi la candela bianca che la custodisce dovrà spegnersi? I Madrigal sono destinati a perdere il loro encanto? E le crepe all’interno della casita magica in cui vivono, le cui porte sono luminose e fiammeggianti come i poteri di chi la occupa e il mobilio e le scale dispongono di volontà autonoma, ci sono davvero o sono soltanto una suggestione di Mirabel? Abuela Alma non ha dubbi: è la presenza di Mirabel, nipote non miracolata e ragazzina ordinaria, a mettere in pericolo l’armonia fondata sull’eccezionalità che i Madrigal possono vantare.  

Encanto fa parte dei film in cui la Disney rinuncia agli archi conflittuali troppo pronunciati, e a schiacciare i buoni e cattivi ai due estremi di uno spettro morale inequivocabile. Le crepe all’interno della casita, vale a dire le crepe nelle relazioni fra i Madrigal, non dipendono dalla presenza di un elemento malvagio e non sono effetto o spia dell’imperfezione di alcuni dei suoi membri, bensì dell’ostracismo che subiscono di conseguenza, del senso di inadeguatezza e mancata appartenenza che ne deriva e che nessuno si occupa di placare. La tensione fra i personaggi è sin troppo tipica di ciò che avviene all’interno di una famiglia, tanto più se numerosa, tanto più se reduce da un’esperienza traumatica: nasce dall’incompatibilità fra desideri personali e aspettative che si ritiene di dover soddisfare, dalle conversazioni difficili schivate per paura, dai non detti e dai risentimenti che possono nascere, e inasprirsi se non affrontati, da una minuzia. I Madrigal devono essere felici anche, paradossalmente, a dispetto dell’infelicità di qualcunə di loro.

Mentre la casa comincia a traballare, sono le persone più giovani della famiglia ad avvertire il carattere ambivalente dei doni di cui dispongono e a dibattersi dolorosamente tra le maglie di un destino che non hanno scelto, e di cui devono sempre dimostrarsi all’altezza. Non c’è un momento in cui Luisa possa mostrarsi vulnerabile, e canta non soltanto per sé quando in Surface Pressure si domanda:

Un momento
Se potessi scrollarmi di dosso il peso schiacciante delle aspettative
Questo libererebbe un po’ di spazio per la gioia
O per il riposo, o semplicemente per il piacere?

La pressione specifica che avverte Luisa è quella dei fratelli e delle sorelle maggiori, di solito più responsabilizzatə. Mentre canta, la vediamo affrontare varie prove di forza in una sequenza non realistica, e il suo ruolo è esplicitato nelle scene in cui è chiamata a sorreggere il peso del villaggio, della casita, e di tutto il mondo – premurandosi sempre di mettere in salvo anche Mirabel e persino di aggiustarle gli occhiali sul naso. Tuttavia, le sue parole valgono anche per Isabela, creatrice di bellezze floreali e bellissima lei stessa – e per questo chiamata a sposarsi e a mettere al mondo nuovi Madrigal, affinché il miracolo dei doni continui. La certezza che la magia, miracolo scaturito dal sacrificio di Pedro, continui a tramandarsi è il destino già scritto in cui Abuela ha bisogno di credere e che impone a chi la circonda. E su di esso è stata disposta a sacrificare prima Bruno e ora anche Mirabel, prima di comprendere che la magia è al servizio delle persone e non viceversa. 

Sono ancora le canzoni a svelare la fissità artificiosa di questa utopia: Mirabel canta “mettiamo le cose in chiaro: è Abuela a condurre lo spettacolo” (l’originale “run the show” rimanda all’area dello spettacolo e della messinscena oltre a significare in modo più generico “mandare avanti la baracca”). Più avanti, in un duetto tra Pepa e il marito, scopriamo che il giorno del loro matrimonio “non erano ammesse nuvole”, a riprova che anche gli agenti atmosferici possono e devono piegarsi per plasmare la realtà meravigliosa dei Madrigal. E Isabela, nel pezzo What else can I do?, ha un aggettivo puntuale per il suo contegno: “practiced”, vale a dire studiato, perfezionato grazie a molte prove, tutto fuorché spontaneo.

Con queste premesse, è il potenziale turbamento del rassicurante avvicendarsi di generazioni capaci di custodire la magia, l’improvviso dubbio che la profezia possa smettere di autoavverarsi, a rendere il dono di Bruno così sfuggente e pericoloso. Tutti i doni a disposizione dei Madrigal agiscono e possono modificare soltanto l’immediato presente, che in Encanto è un tempo quasi mitico e astorico in cui collassano un passato ormai ridotto a premessa e un futuro che tuttə immaginano immutabile. Bruno, invece, è preveggente: il suo sguardo è in grado di bucare il presente, e riporta immagini ambigue ed equivoche degli anni a venire. L’oggetto che lo identifica ed è ricamato sui suoi vestiti è una clessidra, a significare lo scorrere del tempo e le inevitabili trasformazioni che reca con sé. Il resto della sua famiglia, invece, per effetto del trauma della migrazione e della morte rigetta i cambiamenti, ed è così sempre uguale a se stessa, cristallizzata in un freeze-frame mentre Mirabel canta Waiting for a miracle. Se la gestione del villaggio e della magia elimina alla radice la possibilità che il futuro implichi dei mutamenti, e non richiede né contempla che qualcunə possa essere postə di fronte a una scelta e stravolgere così il corso degli eventi, le profezie di Bruno rimettono in campo la responsabilità individuale oltre i margini di un’identità non scelta ma imposta, e il coraggio di non rassegnarsi a ciò che sembra già stabilito ma agire con determinazione per cambiarlo. 

In verità, al contrario della profezia perpetua che i Madrigal fanno sì che si avveri ogni giorno, le visioni di Bruno sono spesso accurate ma non sempre finali e decisive: se a Isabela predice senza sbagliare che “la vita dei miei sogni mi sarebbe stata promessa e un giorno sarebbe stata mia”, riportandole il risultato del percorso di conoscenza di sé che avviene nel corso del film, inchioda invece Dolores con la triste previsione che “l’uomo dei miei sogni sarebbe stato fuori dalla mia portata, promesso a un’altra”, descrivendo una situazione temporanea e destinata a risolversi. Le profezie di Bruno, in altre parole, racchiudono l’opportunità e la necessità del cambiamento – di se stesse, di chi le riceve, dell’ambiente circostante –, riaffermate dall’insistita allegoria della farfalla che innerva tutto il film, e che viene presentata sul piano visivo (si vedano i ricami del vestito di Mirabel), lirico (nel pezzo cardine Dos oruguitas, alla lettera “due bruchetti”, che è propedeutico alla ricomposizione dell’unità familiare) e narrativo (Mirabel riconoscerà l’avverarsi della profezia decisiva dopo aver notato una farfalla posata su un filo d’erba).

Il colpo di scena in cui scopriamo che Bruno non è un personaggio malvagio e un uccello del malaugurio, ma una persona timida e spaventata dal suo dono, è anticipato da un pezzo che, così come The family Madrigal, ricorre a coreografie da musical per ribadire che tanto la perfezione della famiglia quanto il villain che la minaccia non sono che costruzioni, aggiustamenti che i Madrigal apportano ai fatti affinché possano combaciare con i loro desideri, soprattutto narrazioni che a furia di essere ripetute finiscono col sostituire la realtà, creandone un’altra. We don’t talk about Bruno, recita il ritornello Disney più ascoltato dai tempi di Frozen, ma in verità se ne parla in continuazione. Se ne parla infatti sottovoce come fa Dolores, oppure arricchendo il racconto di falsi ricordi come il suo “ghigno malefico” o la sua statura imponente, mentre le immagini giocano con astuzia con i tropi visivi codificati dalla stessa Disney e avvolgono Bruno di una luce verde acida per indurre il pubblico, già solidale col punto di vista dei Madrigal, a credere alle loro parole. È forse questa la miglior peculiarità di Encanto: alla macrofinzione immediatamente riconoscibile, quella di una storia raccontata attraverso elementi magici, affianca e poi smaschera i triviali e un po’ meschini processi di finzione con cui un gruppo di persone si sforza di tenersi insieme, in modo che il valore della sincerità emerga e trionfi per contrasto.

L’impiego del flashback mentre Abuela racconta la tragedia dei Madrigal è in questo senso particolarmente efficace, perché lo stesso episodio torna nella sequenza che prelude alla risoluzione benevola del conflitto – ma stavolta sotto forma di visione in cui Mirabel è del tutto immersa, e con tutt’altra risonanza emotiva. Il precedente resoconto di Abuela risulta, paragonato alla visione, addomesticato, spogliato del contesto dell’innamoramento fra lei e Pedro e in qualche modo della portata della sua perdita, perché concentrato sull’apparizione della magia che sembra una diretta conseguenza del sacrificio di Pedro. La visione, molto più ricca di dettagli, smorza questo nesso causale arrotondando la figura di Pedro, non più ridotto a martire bensì ricordato come giovane uomo, marito innamorato, e padre emozionato. Alla fine della visione, la sua morte è molto più insensata e inaccettabile, e il dolore della vedova più tangibile e vero.

Pur peccando forse di eccessivo didascalismo, Encanto può allora consegnare un messaggio piuttosto sano ed equilibrato: l’esilio del soggetto marginale costituisce il problema, non certo la soluzione, e il personaggio più aspro e spigoloso viene esplorato in modo che il pubblico possa capirne i motivi e riconciliarsi con la sua durezza. Ogni personaggiə troverà un nuovo ruolo, finalmente scelto e non più sovradeterminato, e smetterà di essere identificatə unicamente col suo dono. Se è vero e ribadito, banalmente, che anche chi non dispone di nessun dono spettacolare può essere speciale, e che la perfezione non può essere il requisito dell’amore, altrettanto vero e forse più vicino alla sensibilità del pubblico adulto è che sforzarsi continuamente di non disattendere le aspettative altrui ci lascia poco tempo e agio per occuparci di noi stessə e dei nostri desideri. 

Sebbene infatti nell’universo di Encanto i personaggi centrali subiscano soltanto le pressioni familiari, lo sforzo che profondono per fronteggiarle non ci è estraneo. Possiamo riconoscerlo nelle nostre difficili relazioni familiari, ma anche in una generale cultura del lavoro in cui siamo perfettamente sovrapponibili a ciò con cui ci guadagniamo da vivere (e di conseguenza alle nostre prestazioni lavorative), e infine nelle infiltrazioni di tale cultura nel nostro cosiddetto tempo libero, in cui anche lo svago è spesso assoggettato ai numeri e ai risultati. 

“Cosa sei in grado di fare quando capisci che ciò che vuoi essere è imperfettə?”: è in questa domanda, significativamente posta dalla personaggia più vicina a una principessa Disney che questo film possa vantare, che possiamo forse ritrovarci – le persone più giovani per non perdere di vista tutte le possibilità a loro disposizione e quelle adulte, con ogni probabilità cresciute nella retorica del successo, per scegliere di non essere troppo severe con se stesse a causa di un traguardo non raggiunto o di una tappa mancata.

N.B. Nelle citazioni ho usato le liriche originali delle canzoni tradotte da me anziché gli adattamenti italiani. I corsivi sono miei.