Spuntini – febbraio

RUBRICA DI VIAGGI, CHE NON PARLA DI METE TURISTICHE, MA DI TRIP LETTERARI, A RITMO DI CITAZIONI. LA PARTENZA È SEMPRE CERTA, LA META SCONOSCIUTA, IL TRAGITTO VA A ZIG ZAG DAL DIVANO ALLA LIBRERIA. LA SODDISFAZIONE È QUELLA CHE PUÒ DARE UNO SPUNTINO LONTANO DAI PASTI, QUANDO SI HA UN LANGUORINO, DA QUI IL TITOLO: SE FOSSE IL DIMINUTIVO DI SPUNTI, SAREBBE UNA SCELTA INFELICE, SE FOSSE LA STORIA DI TRE PUNTINI DI SOSPENSIONE INSEGUITI DALLA LETTERA S, CI VORREBBE GIANNI RODARI.

INGREDIENTI PER LO SPUNTINO DI OGGI:
HANNAH ARENDT – MARY MCCARTHY – LOUIS-FERDINAND CÉLINE

Si può ridere di tutto: ecco perché sullo scaffale della mia libreria dedicato all’umorismo metto uno accanto all’altro titoli apparentemente fuori luogo.

Spicca fra i tanti La banalità del male di Hannah Arendt, prova folgorante di come l’orrido possa essere non solo ridicolo, ma addirittura comico. Si tratta di un libro importante, scritto da chi assume e, soprattutto, è capace di mantenere un punto di osservazione scomodo, che non permette compromessi
intellettuali.

Ingredienti ottimi per uno Spuntino: tante pagine con le orecchie da rileggere senza un ordine, note utilissime (come succede nei libri di spessore) per appuntarsi volumi da acquistare con una certa urgenza, rimandi a fatti storici che non si può continuare a ignorare.

Secondo la Arendt la predisposizione al riso passa attraverso il senso di imparzialità e proprio una posizione imparziale lei ha tenuto durante tutto il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, così come imparziale è rimasto il suo pensiero davanti al tentativo di spettacolarizzare il male, rendendolo assoluto, demoniaco, estraneo al quotidiano.

Più il circo mediatico tenta di trasformare Eichmann in un mostro che ha agito da solo, che deve pagare per tutti, più la Arendt nel suo resoconto al processo – uscito sulle colonne del New Yorker nel 1962 – alza il livello della testimonianza giornalistica, aumentando la profondità del suo ragionare intorno alla questione ebraica.

Alzare l’asticella della riflessione, quando intorno le critiche si fanno barbare e strumentali è un proposito di vita non solo professionale che andrebbe appuntato sull’agenda.

L’unica che è riuscita a ridere del reportage da Gerusalemme della Arendt è stata Mary McCarthy, amica non-ebrea della scrittrice ebrea; si tratta, com’è intuibile, non di risate divertire, ma di un’ilarità suscitata dall’incongruenza dell’esistenza, a volte così assurda da risultare folle e, allo stesso tempo, banale.

Tra amiche: la corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy, edito da Sellerio, è il libro che sta nel mezzo di questo eccentrico book sandwich, come fosse la farcitura di un gustosissimo Spuntino che culmina con un altro volume, tanto sconvolgente quanto ironico: Viaggio al termine della notte di Céline.

Non m’importa se i testi selezionati sono così lontani in fatto di genere e di stile da far arricciare il naso ai puristi del gusto, è il sapore d’insieme quello che conta: Eichmann, mediocre, meschino, interessato a fare carriera nell’azienda della morte, fa gelare il sangue per una normalità che potrebbe insinuarsi nel viaggio terreno di
tutti noi, allo stesso modo l’esistenza psicotica, accelerata, folle del dottor Bardamu dà i brividi, perché palesa l’assurda sproporzione fra la ricerca di un senso e il delirio della realtà.

Mi piace credere che la Arendt non trovi indigesto l’accostamento con Céline e, anzi, abbia già fatto due chiacchiere con il suo vicino, trovandosi sullo stesso scaffale. Avranno parlato delle accuse di antisemitismo piovute addosso a entrambi, si saranno confrontati con lucidità sull’effetto caricaturale di quando farsa e tragedia
si mescolano, e avranno sicuramente riso.