Unopuntozero – a/s/l

C’è un film a cui penso più spesso di quel che forse dovrei, ancor di più negli ultimi tempi grazie all’esercizio di memoria che è scrivere questa rubrica.

È un film a cui voglio bene, ci sono affezionata, quando mi viene in mente sorrido.
C’è posta per te è uscito nel 1998, e anche sforzandomi non credo mi venga in mente un altro esempio cinematografico che racconti meglio il mix di speranze che poteva generare l’idea di incontrarsi, ravvicinarsi e riconoscersi in un momento in cui internet era tutto nuovo: terreno neutro, lontano dalle differenze della vera quotidianità, mondi che si aprivano e che permettevano di presentarsi ex novo.

C’è posta per te prende ispirazione da Il negozio dietro l’angolo e la formula è semplice: due persone (Margaret Sullivan e James Stewart prima, Meg Ryan e Tom Hanks dopo) si innamorano attraverso la loro corrispondenza da anonimə amicə di penna senza realizzare che nella vita reale si conoscono sul serio e, ovviamente, si detestano.

C’è posta per te prende quest’idea e sostituisce carta e penna dell’originale con la grande novità di fine anni novanta: le chat, le email, il mondo di fantastici incontri a portata di mano per chiunque abbia un modem. 

La prima volta che l’ho visto è stato qualche anno dopo l’uscita: avevo forse quindici anni e ogni giorno mi connettevo per un’ora d’esplorazione in linea che immancabilmente iniziava col portale di Ciaoweb.
Spero che qualcunə oltre a me ancora se lo ricordi, perché benché io senta di averlo sfruttato al massimo delle sue potenzialità in quei primi mesi di navigazione Ciaoweb ha avuto una vita brevissima (1999-2001, RIP) e mi chiedo se esistano altre cinque persone che possono testimoniare della sua esistenza qui, oggi, così a bruciapelo.

Il portale era assai semplice, non offriva granché a parte il brivido (ancora più apprezzabile oggi) di avere una password che poteva essere anche di sole 5 lettere minuscole, senza cifre o caratteri speciali. Era semplice, sì, ma proponeva qualcosa di meraviglioso che non avevo mai usato prima: aveva una chat per i suoi utenti, e per qualche tempo quel posto fu tutto il mio mondo.

Lì dentro ho incontrato una persona che oggi è ancora tra i miei contatti, e ricordo con chiarezza l’eccitazione di darsi appuntamento a una certa ora l’indomani per riprendere qualsiasi discorso fosse stato interrotto dall’urgenza di una telefonata da fare proprio in quel momento. Sacre conversazioni tra giovanissimə sconosciutə, strategicamente posizionate prima dell’ora di cena.

È stato il primo assaggio di un piacere che ho coltivato a lungo. Dopo quel rudimentale esperimento la persona con cui parlavo più spesso mi introdusse a ICQ, che a confronto mi sembrava essere un regalo dal futuro. I puntini che appaiono su Telegram quando qualcuno ci scrive oggi sembrano banali, come se fossero la base assodata della comunicazione digitale, ma all’epoca vedere su ICQ che l’altra persona stava scrivendo – proprio a me, proprio in quel momento, in tempo reale – generava in me un’ansia gioiosa piena di aspettative. Quando poi il messaggio arrivava, era accompagnato da un oh-oh che a sentirlo adesso mi catapulta con forza fino al liceo.

Nella mia esperienza il suo successore diretto è stato MSN. Col suo arrivo ha portato con sé la possibilità di mettere uno status colorato sotto il nickname, un messaggio d’assenza spiritoso, e la possibilità di entrare e uscire dalla connessione per generare un pop-up a tutti i miei contatti avvertendo chi mi interessava davvero della mia presenza in linea; una sorta di ‘scrivimi che ci sono’ piuttosto passivo-aggressivo, non per questo meno efficace, ma che in confronto al far partire una canzone su Winamp per far apparire il titolo sotto lo status e segnalare il proprio struggimento era una tecnica da principianti.

Ci si riconosceva così, con queste piccole abitudini, e ancor di più si imparava a conoscersi attraverso il velo di un nickname che potesse rappresentarci appieno. 

Potevi mentire su tutto, dare informazioni sbagliate quando ti chiedevano a/s/l (age, sex, location, attaccabottone da grandi arie cool quando lo digiti da un paesino di provincia campana), inventarti l’hobby del violino e le vacanze a NYC, ma il nick era cosa a parte: un’espressione di verità che ti esponeva nella forma più intima, qualcosa di cui forse non avresti mai potuto parlare a voce alta, o, al contrario, la sintesi del tuo intero universo d’interessi.

Per anni ho usato mIRC, scaricandone una versione con script dei Simpsons che ogni volta che si apriva faceva partire in ascolto i primi secondi della sigla del cartone animato. 

Il mondo lì dentro era diviso per canali (#nomedelcanale) a cui accedere o in cui farsi invitare, e nel 2001 il canale della mia cittadina era un luogo di ritrovo ricercato tanto quanto la sua unica piazza con panchine. Nei miei ricordi falsati eravamo tuttə lì: poco importava a che scuola andassi (o se ne eri già uscitə), nel pomeriggio passavi almeno un paio d’ore in quel canale reinventando te stessə.

Scegliere un nick sapendo che ci sarebbe stata la possibilità di ritrovare in anonimo anche persone che conoscevo fu un affare molto serio, a cui pensai a lungo: scelsi con fierezza un richiamo chiarissimo a X-Files, }Spooky{.

Andavo a scuola in motorino
}Spooky{ era scritto con l’uniposca bianco sul mio casco nero, ben visibile e una chiara espressione d’orgoglio. Una parte di me lo vedeva come un distintivo da esibire nella speranza che qualcun altrə lo notasse. Quando successe, quando un’altra ragazza che come me all’epoca viveva immersa fino al ginocchio in fanfiction mi scrisse in chat privata offrendomi di scambiarci le VHS dei nostri episodi registrati, io non riuscivo a credere che cose così belle potessero accadere così facilmente. Incontrare persone simili, scambiarsi messaggi nell’anonimato, trovare il coraggio di incontrarsi a scuola il giorno dopo, scoprire che si era di anni diversi, in sezioni che secondo le regole gerarchiche arbitrarie di qualsiasi istituto scolastico si ignoravano, e, nonostante questo, diventare amicə.

Questa è la cosa che mi fa ancora vibrare quando ci penso o quando penso a C’è posta per te: tra le centinaia di conversazioni che potevi avere in chat, in mezzo al brusìo da piazza nel canale centrale in cui se ti andava bene eri citato da qualcunə più popolare e se ti andava male qualcun altro lanciava il comando /slap (with a large trout) contro di te, ce n’erano alcune che sbocciavano in qualcosa di significativo e si spostavano in privato, o si creavano canali alternativi meno frequentati ma che aggregavano persone sotto l’ombrello di interessi comuni.

Le persone che ho frequentato a fine liceo su uno di questi canali paralleli di mIRC le vedo ancora con piacere oggi. Eravamo un piccolo gruppo di età diverse che un giorno ha deciso di organizzare un meeting, e a quel meeting ci siamo presentatə quasi tuttə. In quel canale ho incontrato amicə e amori, ho scoperto nuova musica, nuove letture, nuovi modi di pensare.
È un ricordo che porto caro, e quando nomino quel posto virtuale a chi ne conosce l’esistenza il guizzo nostalgico è garantito. 

Allo stesso modo ho un ricordo di persone con cui ho parlato e di cui non so più nulla. Mi chiedo che vita abbiano mai avuto fin qui, cosa ne è stato di loro e come sono cresciutə. Se io penso a loro, ne ricordo i nomi e i nick ancor oggi, loro si possono mai ricordare di me? Di un passato in cui non ci scambiavamo foto, in cui potevamo permetterci di essere vaghə nelle descrizioni di noi stessə per l’assunto che la fantasia dall’altro lato avrebbe fatto il resto, cosa rimane dell’immagine che ho potuto dare di me a persone che hanno accolto i miei pensieri e mi hanno donato i propri nello spazio di quelle conversazioni?

Mi sta bene non saperlo mai per certo, credo, e non sovrapporre la pressione del confronto di oggi a un’esperienza di ieri che non ne aveva.

Se però avessi ancora accesso all’indirizzo email che usavo su MSN una parte di me vorrebbe entrarci oggi col solo intento di inviare un trillo ai miei contatti e aspettare una risposta.
Non posso, certo, e quindi per quaranta secondi ascolto questi suoni e lascio che giochino con la mia memoria.