Spuntini – agosto

RUBRICA DI VIAGGI, CHE NON PARLA DI METE TURISTICHE, MA DI TRIP LETTERARI, A RITMO DI CITAZIONI. LA PARTENZA È SEMPRE CERTA, LA META SCONOSCIUTA, IL TRAGITTO VA A ZIG ZAG DAL DIVANO ALLA LIBRERIA. LA SODDISFAZIONE È QUELLA CHE PUÒ DARE UNO SPUNTINO LONTANO DAI PASTI, QUANDO SI HA UN LANGUORINO, DA QUI IL TITOLO: SE FOSSE IL DIMINUTIVO DI SPUNTI, SAREBBE UNA SCELTA INFELICE, SE FOSSE LA STORIA DI TRE PUNTINI DI SOSPENSIONE INSEGUITI DALLA LETTERA S, CI VORREBBE GIANNI RODARI.

INGREDIENTI PER LO SPUNTINO DI OGGI:
DJUNA BARNES, INGEBORG BACHMAN, MARGUERITE YOURCENAR

Dopo aver ascoltato Daria Bignardi elencare uno dei libri che le hanno rovinato la vita sono andata a ripescare dalla mia libreria La foresta della notte di Djuna Barnes, divorato negli anni in cui anch’io ero in perenne crisi di astinenza da lettura, sempre alla ricerca di libri che mandassero alle stelle i parametri vitali di eccitazione e piacere. Il volume di Adelphi, che nel tempo ha raggiunto un colore troppo sbiadito per essere definibile, apre con una mia esclamazione a matita: “Che stile!” e una brevissima legenda per sintetizzare le emozioni suscitate:

? = stupore
! = ammirazione

Quasi ogni paragrafo del libro della Barnes riporta un punto esclamativo o un punto di domanda a margine.
A vent’anni credevo che una scrittura capace di trafiggere e di saziarmi fosse possibile solo all’artista con una vita di dolore, di stenti, di inquietudine, per questo mi attraevano autrici (leggevo, forse per risonanza, sopratutto donne) con esistenze tormentate, esseri umani reclusi e incompresi che finiscono poveri in una soffitta, muti. Samuel Beckett ha inviato a Duna Barnes un assegno da tremila dollari per permetterle di tirare a campare nei suoi ultimi mesi di vita.

L’immagine successiva che mi viene alla mente per questo Spuntino esistenzialletterario sono le fiamme che avvolgono il corpo assuefatto dall’alcol e dalle pastiglie di Ingeborg Bachmann; è così che la pensavo mentre leggevo il suo Malina, come se il libro contenesse l’essenza portata a galla dal fuoco, che insieme alla pelle della Bachmann si era mangiato anche il superfluo, le maschere, la materia che appesantisce la genialità.

Le relazioni sentimentali tormentate, i triangoli amorosi, i ripetuti tradimenti erano altri elementi che esigevo di trovare fra le pagine dei libri, a conferma di come i segnali confusi e inesprimibili che intercettavo in me a vent’anni fossero ritrovabili in letteratura, sia La foresta della notte sia Malina non mi hanno deluso.

Nello stesso periodo ricordo di essere scoppiata in singhiozzi appena uscita dal Piccolo Teatro di Milano, dopo aver visto Giorgio Albertazzi recitare in Memorie di Adriano: anche quel pianto senza conforto, mentre la folla mi sospingeva fuori dal teatro, aveva a che fare con un’età in cui sembra che al nostro corpo manchi il primo starato di pelle, quello che protegge dal bruciore, dai graffi, dai contatti con
superfici appuntite. Quella sera il monologo dell’Imperatore Adriano, la presenza scenica di Albertazzi, l’immagine di Marguerite Yourcenar seduta su un masso a Mount Desert mentre contempla l’orizzonte dentro e fuori di lei erano riusciti a condensare il senso della vita e dell’arte, creando un’emozione così forte da dover trovare sfogo nel pianto.

Il passare degli anni ha reso in qualche modo meno urgente la ricerca di conforto e di conferme nella lettura, che rimane sempre una necessità, ma non più legata al tormento della vita, bensì alla consapevolezza di dover trovare un equilibrio tre i tanti fattori che la compongono. La morte, prima di tutto.

Ma per questo ci vorrebbe un’altra rubrica.