C’è quel verso che dice: «E Pavana un ricordo, lasciato tra i castagni dell’Appennino». Io a Pavana (frazione di Sambuca Pistoiese) non ci sono mai stato, ma me l’immagino molto bene perché da bambino e da ragazzo ho frequentato la montagna spesso, e ho pure ripreso a farlo negli ultimi anni. Tutto considerato, i paesi di montagna si assomigliano un po’ tutti. Tutti quelli dell’arco alpino han qualcosa in comune con quelli dell’arco appenninico, e il silenzio che oggi li attraversa è il medesimo in qualsiasi regione.
La montagna poi è un luogo strano: talmente sperduto e solitario che interagire con gli altri mi è sempre sembrata una cosa più che naturale, quasi doverosa. Non lo so, forse è per quello che Guccini si è imposto come uno dei più longevi e importanti cantastorie degli ultimi secoli: forse perderti nelle storie è un’istanza naturale, qualcosa che non puoi fare a meno di assecondare, quando sei lassù, in mezzo al bosco e ai torrenti, con soltanto il rumore dei tuoi stessi pensieri. Allora ben vengano le storie, i racconti, le rime per mandarli a memoria meglio, magari una chitarra per accompagnarsi.
Accompagnarmi, Guccini mi accompagna da – boh, dal ’96? Non lo so. In termini assoluti non è tanto: non ho visto i suoi concerti mitici a Bologna, non ero neanche ancora nato quando è uscito Via Paolo Fabbri 43, con alcune delle canzoni che han segnato la storia della musica. In termini relativi è tantissimo: sento la voce di Francesco Guccini da quando avevo quattordici anni, mi è più familiare di quella di alcune mie cugine (invero giovanissime, dannate loro), per dire. Ho amici fraterni che ho incontrato successivamente al primo ascolto di un suo disco. «Venticinque anni son tanti e diciamo (un po’ retorici) che sembra ieri»: e quindi per me Guccini è una voce amica, che ha costruito i gradini della scala che ho salito da che ho memoria.
A fine 2022 ha fatto uscire un nuovo disco: che non ho ancora avuto modo di ascoltare, ma che mi ha fatto venire in mente di scrivere un pezzo, e poi quel pezzo faceva schifo, e l’ho riscritto, e si è trasformato in una serie di pezzi: il racconto dei miei venticinque e rotti anni ad ascoltare quella voce di montagna cittadina, la mia educazione pavanese. Ci leggiamo il mese prossimo.
(Nota di colore: non ricordavo di che paese più grande fosse frazione, Pavana, e sono andato a controllare su Wikipedia. Ovviamente i riferimenti gucciniani si sprecano, là dentro, ma la cosa più divertente è che viene usato lo stesso verso con cui ho aperto questo pezzo.)