Metà della gente cui nomini Guccini ti dice «Ah, quello comunista». L’altra metà ti dice: «Ah, quello delle canzoni tristi». Menzione d’onore per il professor Vercellin che quando mi vide per le scale del Dipartimento di Studi Eurasiatici di Ca’ Foscari con una maglietta gucciniana, mi apostrofò con un gelido: «Portasfiga!»
Tutte queste posizioni peccano di miopia. Scambiano la superficie per il contenuto. Che la superficie sia fondamentale e importante, non ci piove, ma la malinconia o un certo schieramento quando si pensa al mondo e lo si immagina migliore sono un risultato del tentativo di capirsi, e capire il mondo stesso. Quando ci si ferma a guardarlo e si vuole capirlo, rileggendo i nostri gesti e i ricordi che abbiamo di un evento, è inevitabile che subentri della malinconia, un certo soffermarsi sul passato. Non per rimpiangerlo, ma per capirlo, averlo sempre chiaro. Ho sempre pensato, ma in questo – chissà – forse sono solo, che il senso ultimo del concentrarsi sul passato che possiamo vedere nella poetica gucciniana sia un passaggio fondamentale per capire sé stessə e il presente, e prepararsi pertanto al futuro. E quindi, alla fine della fiera, sia un atteggiamento ottimista. Senza un’idea precisa delle proprie radici, delle cose che abbiamo fatto e che sono state fatte prima di noi, come si può pretendere di costruire qualcosa di solido? Si vive soltanto in un eterno presente di gesti superficiali. Superficie, vedi? Si parla di quella, sempre, quando si riduce la discografia gucciniana al passato, alla malinconia, al rimuginio.
Scrivo queste righe dalla lobby di un hotel ai margini di Perugia. Per certi versi è criminoso che nel 2023 sia ancora così difficile raggiungere questa città, pur immersə nella civiltà dell’alta velocità e dei collegamenti rapidi. Posso percorrere Milano-Roma in tre ore, ma per arrivare al centro geografico del nostro paese mi è richiesta comunque una mezza giornata. Di contro, questa relativa inaccessibilità contribuisce ad arroccarla nei miei ricordi, e accedervi richiede un impegno, come tutte le cose che meritano di esser guadagnate.
Perugia è stata fondamentale per la mia vita di ventenne di grandi aspirazioni artistiche. È stata importante anche per la primissima redazione di inutile, o almeno così credo: qui abbiamo partecipato al BIRRA organizzato da Eleanor Rigby nel 2007, qui siamo tornatə in più di un’occasione (anche se il centro vero, per noi, è stato Gubbio). Anche se sono tornato in città più volte nel corso degli anni (la mia compagna qui ha parte della famiglia), non ero mai tornato in certe vie, certi angoli: quelli che ho rivisto ieri sera, quando ho camminato a lungo in centro.
Anche se si è modernizzata, e anche ulteriormente internazionalizzata (facile, vista l’università), i posti che la memoria ha scolpito sono rimasti i medesimi di quasi vent’anni fa. È stata una camminata molto emotiva, mi rendo conto: di tutti i periodi in cui non avevo bene idea di cosa fare della mia vita, quello è uno dei pochi in cui non ho sprecato tempo, in cui ogni cosa che facevo serviva a imparare, a scrivere, a capire nuove cose e nuove persone. La bilancia è a metà, oggi: ricordo le cose e gli insegnamenti di allora, ma intorno non c’è praticamente più nessuno di quel periodo. Son statə sostituitə da altre persone, che oggi sono ugualmente importanti e in alcuni casi pure di più. A rivedere angoli, cartelli, strade che battevamo col freddo ventilato, confesso: il magone è stato forte. Ché ogni tanto, sì, me li sento «dentro quei legami / i riti antichi e i miti del passato / e te li senti dentro come mani / ma non comprendi più il significato».
Ma è da lì che vengo, capisci? I gesti che compio oggi sono quelli di allora, evoluzioni di quello che pensavo e credevo. È il mio passato, al quale è giusto tornare e al quale da troppo non tornavo. «Le tue radici danno la saggezza / e proprio questa è forse la risposta / e provi un grande senso di dolcezza».
Postilla. Nei due o tre anni in cui ho frequentato il Dipartimento, prima come obiettore di coscienza e poi per le tante persone che ho conosciuto, col professor Vercellin avevo sviluppato un rapporto di simpatia. Morì nel 2007. Mi dispiace ancora non averlo conosciuto meglio.